Per Biancamaria Frabotta

Per Biancamaria Frabotta

 

Il 2 maggio 2022 è venuta a mancare Biancamaria Frabotta, figura centrale della poesia contemporanea e voce ineludibile della critica letteraria del nostro tempo. Ne diamo la triste notizia ricordando la sua opera e la sua attività intellettuale di grande ispirazione per tutti noi.

Poetessa, narratrice, saggista, giornalista e docente, Frabotta ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università «La Sapienza» di Roma. Attiva protagonista del movimento femminista degli anni Settanta, ha raccolto studi e interventi intorno a temi legati a questa stagione culturale in Femminismo e lotta di classe in Italia: 1970-1973 (Savelli, 1973) e La politica del femminismo 1973-76 (Savelli, 1976). Ha curato una delle prime antologie volte a ricostruire la storia della poesia femminile italiana dal dopoguerra ad oggi, Donne in poesia (Savelli, 1976), con prefazione di Dacia Maraini e pubblicato numerosi studi, tra cui una monografia su Carlo Cattaneo, i volumi Letteratura al femminile (De Donato, 1980) e Giorgio Caproni, il poeta del disincanto (Officina edizioni, 1993) e dedicato saggi e interventi ad Amelia Rosselli, Franco Fortini, Toti Scialoja, Elsa Morante; molti dei quali confluiti ne L’estrema volontà (Perrone, 2010). Redattrice de «L’Orsaminore» e «Poesia» e collaboratrice de «il manifesto», ha pubblicato opere narrative (il romanzo Velocità di fuga del 1989, Premio Tropea) e teatrali (la trilogia Trittico dell’obbedienza del 1996).

Agli anni Settanta risale il suo esordio poetico con Affeminata (1976), a cui segue Il rumore bianco (1982), con introduzione di Antonio Porta, tra i primi a riconoscere il valore di questa esperienza. Come ben ha sottolineato Stefano Giovanardi (in Poeti italiani del secondo Novecento 1945-1995 Mondadori, 1996) si tratta di una poetica basata sull’attrito, nutrita da diverse e opposte componenti, dalla esplicita carica ideologica radicata nella protesta femminista all’uso di un «repertorio espressivo fortemente metaforizzato».

Nelle successive opere poetiche, da Appunti di volo (1985) al poemetto per due voci e un coro Controcanto al chiuso (1991), si elaborano strategie stilistiche e aspetti tematico-formali in grado di connotare e consolidare tale poetica: da strutture prevalentemente dialogiche ad innesti del parlato in direzione di una vocazione sperimentale che paradossalmente tende ad una misura classica. Tali aspetti conoscono ne La viandanza (Premio Montale 1995), una decisiva elaborazione con il pervenire della scrittura ad una precisa cifra stilistica dalla forte complessità e dall’estremo rigore. Si ricordano le intense prove di traduzioni raccolte in Terra contigua (1999), dove si dà parallelamente prova di un dialogo ininterrotto con la tradizione, tipico peraltro anche delle sue opere più recenti.

La raccolta che definitivamente segna il raggiungimento di tale raffinato equilibrio e della maturità poetica è La pianta del pane (2003): dal delicato linguaggio dell’amore coniugale al precario senso del tempo, dal rapporto con la figura materna alla riflessione sulla scrittura alla ricerca di origini che si rivelano essere personali e collettive. Una nuova apertura connota quest’opera, come quelle più recenti: Gli eterni lavori (2005) con prefazione di Giorgio Patrizi, I nuovi climi (2007) con prefazione di Maurizio Cucchi e Per il giusto verso (2015). In Da mani mortali, (2012; Premio Città di Penne – Fondazione Piazzolla; Premio internazionale Roberto Farina) la scrittura si confronta sensibilmente con «la realtà naturale anche minima del mondo immediatamente circostante». Si aggiunge a quelli citati la pubblicazione del volume mondadoriano Tutte le poesie 1971-2017, postfazione di Roberto Deidier, nota biobibliografica di Carmelo Princiotta (2018) che raccoglie quasi cinquant’anni della sua scrittura poetica.

E dunque le cifre sempre riconoscibili di questa ricerca possono essere individuate nella testimonianza e nell’impegno volto ad interpretare la realtà con tutto il rigore possibile e, al contempo, nella volontà di chiarezza mai disgiunta da un’assoluta fiducia nella poesia:

 

Dentro gli occhi chiusi

quando vi cadde il sole

si accese un puntolino nero.

E non per vizio voleva

tenerselo l’informe

e dentro trattenerlo

nel cieco addome

divenuto sua patria.

Per non lasciarlo morire davvero

e insepolto, quell’ultimo verso

lo adottò, quell’inutile eroe.

Aurea muffa dell’estinto mattino

aerea tigna, polverosa carcassa

nocciolina che sgusci tra le dita

e, se si è presi, fedele capsula.

 

(L’ultimo verso, da La pianta del pane)