Spettri, assenze, memorie: il fantasma nella letteratura contemporanea Call for…
Call for papers rivista «Diario perpetuo»
Università di Siena – Centro Studi Tommaso Landolfi
La rivista «Diario perpetuo», pubblicata nella collana digitale Note azzurre da Quodlibet editore, è intesa, fin dal titolo, come prosecuzione ideale del bollettino pubblicato a suo tempo con cadenza annuale dal Centro studi landolfiani, che aveva come ideatrice e principale animatrice Idolina Landolfi, scomparsa prematuramente nel 2008.
Diario perpetuo è stato il titolo di una rubrica che Tommaso Landolfi teneva sul «Corriere della Sera» negli ultimi e contrastati anni della sua carriera. L’accento cadeva per l’autore sul carattere autobiografico della sua letteratura, che non solo attingeva alla vita corrente gli argomenti delle sue divagazioni, ma replicava di quella l’andamento imperfetto e frammentario, in un rapporto d’interrogazione “senza fondo” che era il tratto caratteristico della sua ultima produzione. Assumendo per il bollettino questa denominazione, Idolina alludeva a un impulso di ricerca e d’interpretazione potenzialmente infinite dell’opera del padre, a una crescita di conoscenza che accompagnasse “in diretta” l’avvicendarsi degli stili interpretativi e delle scuole letterarie. Con la più grande libertà e con quel margine di errore e provvisorietà contenuto in ogni impresa calata nel tempo.
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Il nuovo numero di «Diario perpetuo» si propone di indagare i rapporti di Landolfi con la critica, nelle sue varie declinazioni. Da un lato la ricezione e la fortuna dell’opera landolfiana nei vari “tempi” del Novecento e del secolo presente: dalle prime caratterizzazioni come «scrittore d’ingegno» alle letture più o meno consentanee che si sono succedute nei decenni, con l’avvicendarsi dei contesti e delle scuole letterarie. Nel corso di questa vicenda Landolfi ha finito, per restare in qualche modo sulla soglia del canone maggiore, vuoi per caratteri intrinseci alla sua opera (elitarismo, renitenza alla comunicazione diretta), vuoi per spigolosità personali, vuoi per l’assenza di un critico mallevadore in grado di fare per Landolfi ciò che Contini ha fatto per Gadda, ossia “inventarne” una centralità pur in presenza di elementi irregolari e di uno stile fuori norma. Il fatto che il principale e più fedele sponsor di Landolfi sia stato un critico come Carlo Bo, la cui autorevolezza e persuasività sono andate calando nel secondo Novecento, ha influito senza dubbio sulle sue fortune e ha contribuito a collocarlo entro un orizzonte post-ermetico percepito come attardato nel clima avanguardistico degli anni Sessanta e Settanta. Il recupero in chiave borgesiana-postmoderna operato da Calvino con Le migliori pagine (1982) e relativa postfazione (L’esattezza e il caso), sebbene in parte artificiale, ha contribuito a riportare Landolfi all’attenzione della critica e – successivamente, dopo il passaggio al catalogo Adelphi – dei lettori, rinnovando un interesse che appare quantitativamente notevole negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso.
Questa vicenda, ancora, può essere ripercorsa per singoli momenti, o per singole voci: critici di mestiere e lettori diversi (Debenedetti e Montale, De Robertis e Sereni, Calvino, Manganelli ecc.) hanno dato interpretazioni più o meno consentanee, più o meno implicate con le proprie personali attività e preoccupazioni, che hanno segnato momenti o individuato caratteri e motivi dell’opera landolfiana. Si pensa alle considerazioni di Sereni sul “passaggio al diario”; al «massimo di chiarezza al servizio del massimo di procurata oscurità, anzi occultamento» individuato da Debenedetti; o ancora alle considerazioni di Montale sull’attitudine al falsetto nella prosa landolfiana. L’atteggiamento di singoli lettori nel corso del tempo può a sua volta presentare oscillazioni significative, e qui si pensa per esempio a Contini o ai vari pronunciamenti di Luigi Baldacci contenuti in Novecento passato remoto.
D’altro canto i rapporti fra Landolfi e la critica possono essere osservati anche nel senso opposto, seguendone l’evoluzione dalla parte dell’autore. Il gusto della provocazione e un generale dispetto verso le classificazioni critiche sono elementi costanti nella fisionomia di Landolfi, che ne esibisce i tratti ma subisce al contempo il peso dell’incomprensione e del fraintendimento. Gli affioramenti di queste percezioni contrastanti si registrano già nella prima fase della sua opera ma diventano sempre più frequenti dopo Cancroregina (1950), nella stagione dei diari e poi nell’ultima stagione, quando lo spirito polemico e un senso amaro di scollamento dal sistema letterario lo inducono all’aperta opposizione, fino al sarcasmo quasi goliardico della Conferenza personalfilologicodrammatica con implicazioni pubblicata nella raccolta Le labrene (1976). Sedi per eccellenza della riflessione su se stesso e quindi di sé come scrittore sono ovviamente i tre diari, dalla Biere du pecheur del 1953 a Des mois del 1967. Qui c’è ampio spazio anche per i distinguo sulle definizioni ricevute, per es. di «scrittore fantastico», e per la discussione dei propri rapporti con lettori autorevoli e con l’intero contesto letterario, il suo orizzonte d’attesa. I dubbi sul Landolfo VI destinato a uscire «al ludibrio», o anzi piuttosto «all’indifferenza», i lamenti sulla propria scrittura «falsamente sostenuta», o sui motivi della propria indifferenza alla comunicazione, la “condanna” alla prima persona, l’aspirazione frustrata e poi il rifiuto del romanzo, sono in un certo senso affermazioni critiche che Landolfi si rassegna a formulare per se stesso in assenza di qualcuno che lo faccia per lui, come dice ironicamente in un passo di Rien va.
Una prospettiva ulteriore e forse meno indagata è quella che vede coinvolto Landolfi come critico. I saggi raccolti in Gogol’ a Roma e quelli raccolti di recente nel volume I russi offrono un quadro abbastanza esauriente della sua attività. Mostrano il lato rigoroso e persino accademico del Landolfi lettore, con punte di maligna pedanteria, e offrono un saggio della vasta e in gran parte “misteriosa”, e per questo mitologica, cultura di Landolfi. L’attività di Landolfi come critico è però in parte dispersa: mancano all’appello gli scritti e recensioni di argomento non russo uscite sugli anni Trenta e Quaranta, più un gruppo di recensioni in qualità di critico teatrale uscite sulla rivista «Oggi» da maggio a ottobre del 1939. In questi scritti si trovano le tracce, altrimenti affidate ai carteggi dei compagni di strada, delle idee di Landolfi sui libri dei suoi contemporanei: una stroncatura di Delfini, la recensione alle Occasioni di Montale ecc.
Infine, guardando alla fortuna postuma dell’opera di Landolfi, appare determinante il contributo della figlia Idolina nella gestione e promozione dell’opera del padre, ma anche nella sua interpretazione, espressa in numerosi articoli e interventi. Sua per esempio la definizione della scrittura landolfiana come «lunga, ininterrotta autobiografia» e l’invito a leggere i testi attenendosi al senso letterale. Gli apparati critici e in genere i paratesti che accompagnano i volumi Adelphi, così come la minuziosa Cronologia delle Opere Rizzoli (1991) configurano anch’essi un’interpretazione, oltre a essere il frutto di una rara competenza professionale.
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Gli articoli saranno selezionati in base a double blind peer review per il nuovo fascicolo che sarà pubblicato nel 2025.
La proposta, di lunghezza compresa tra 1000 e 2000 caratteri, e il profilo del/della proponente dovranno essere inviati entro il 31 maggio 2024 all’indirizzo centrostudilandolfi@gmail.com. I contributi, di una lunghezza massima di 40.000 battute, andranno consegnati entro il 15 ottobre 2024.
Le tre lingue accettate sono il francese l’italiano e l’inglese. Saranno prese in considerazione anche proposte in altre lingue coerenti con la cultura di Landolfi: russo, spagnolo e tedesco.